Birragricola, vi raccontiamo la nostra terra

La luce bassa del mattino, sferzata dal vento di ponente, taglia i contorni delle cose come un coltello e rende i profili dei monti e delle nuvole più brillanti che mai; siamo vicini al solstizio. Ci concediamo un giro tra i campi: prima di mettersi al lavoro nell’antico borgo al margine meridionale della Tenuta, ci dirigiamo a nord, dove quest’anno abbiamo seminato l’orzo destinato a farsi birra.

Seguiamo il lungo viale di cipressi, le ombre scure degli alti alberi ci attraversano di tre quarti per poi dare improvvisamente spazio al sole. E’ un flash continuo di squarci di campi, laghi, terre coltivate e maggese. E poi l’oro maturo del grano duro chiazzato ai margini dal rosso scarlatto dei papaveri; come lentiggini più chiare, il giallo e il bianco della camomilla già dipingono e profumano i bordi dei campi. In una parola, giugno.

Raggiunta Santa Lucia svoltiamo a destra e ci dirigiamo a est, incontro alla nuova luce. Intravediamo subito gli ettari di orzo, più biondo del grano e ancora verde a tratti; non è ancora tempo di mietitrebbia.

Dalla costa continua a soffiare una brezza decisa che scalpita incostante e fugge tra le spighe, scompigliandole e pettinandole a ogni folata. Sono onde di luce, pennellate di puro colore, guizzi di foglie come fendenti di spade e capi pesi di semi che si inchinano e si rialzano preda di una taranta silenziosa. E’ una danza dorata, come di seta accarezzata da mani invisibili.

Campi d'orzo

Siamo convinti che da bellezza nasca bellezza, ed è per questo che cominciamo da qui.

Fare Birragricola significa birrificare con almeno il 71% del proprio orzo; una percentuale maggiore di quella necessaria a produrre una “semplice” birra agricola, che prevede una percentuale minima di orzo autoprodotto appena superiore al 50%. Ovviamente – è banale dirlo ma per niente scontato – stiamo parlando di birra artigianale: la birra agricola rientra appieno nella definizione sancita di recente dal Ministero, ma si colloca a un gradino superiore di consapevolezza e “artigianalità”. In aggiunta a questo, la Birragricola compie un successivo passo in avanti, essendo l’unica tipologia di birra agricola certificata dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e potendo esporre il marchio registrato soltanto a patto di raggiungere la più alta soglia del 71% di materia prima autoprodotta. Una Birragricola è ancor più artigianale della comune “birra artigianale”, perché per produrla è necessario prima di tutto essere un’azienda agricola e utilizzare materie prime a chilometro zero, coltivate nella propria terra. Questo garantisce un controllo migliore sulla qualità del prodotto, potendo sorvegliare la filiera produttiva sin dalle origini.

J63inorzo

Nell’ultimo periodo stiamo assistendo alla corsa, da parte di molti birrifici artigianali del Bel Paese e non solo, a tramutarsi in aziende agricole per iniziare a produrre questo nuovo tipo di birra artigianale. La tendenza in atto è chiara e, per fortuna, il consumatore non fa fatica a tenersi informato, anzi sviluppa una propria capacità critica sempre più raffinata, dimostrando di apprezzare la vera cultura della birra e dell’artigianalità. Le ragioni sono semplici: un prodotto artigianale e – a maggior ragione – di filiera agricola ha caratteristiche proprie inimitabili, una storia da raccontare che nessuna multinazionale potrà mai inventarsi, profumi sapori e gusti più strutturati e identitari. Insomma, è detentore di una “bellezza” superiore.

Il desiderio che fin dalla nascita del nostro Birrificio Agricolo Artigianale J63 ci ha spinti a far parte del COBI – Consorzio Italiano dei Produttori dell’Orzo e della Birra – precorrendo i tempi e aprendo la strada ad altri birrifici è proprio questo: tramutare l’inimitabile bellezza della nostra terra in birra, raccontandovela nelle sensazioni di un bicchiere. Laddove con “bellezza” – ormai lo avrete capito – intendiamo un intero mondo, un ecosistema, un terroir, un modo di vedere le cose e non solo.

Strada nell'orzo

I malti acquistati da celebri maltifici d’oltralpe saranno forse anche più blasonati e impeccabili dei nostri, come spesso ci viene ricordato dai puristi del mondo brassicolo, ma in che modo la raccontiamo, noi, ai nostri consumatori, la luce di questa mattina che scompiglia le spighe? Come lo raccontiamo l’odore di questa terra umida di rugiada, il sentore frizzante dell’aria che spira dal mare? Come possiamo far percepire il tocco di questo vento poco a poco più caldo che preannuncia l’estate? Come moduliamo lo starnazzare improvviso di un fagiano che s’invola al nostro passaggio? Mentre guardiamo l’oro fluido di spighe nel sole che lentamente si alza, ai nostri piedi appare un segno concreto di questa bellezza: un uovo schiuso di fagiano, e fantastichiamo pensando alle nuove giovani penne brillanti che balzano verso il cielo. In quale altro modo potremmo raccontarvi tutto questo in un bicchiere?

Uovo di fagiano

Quando al bancone di J63 vi spilleremo la prossima birra agricola, dentro a quel fluido troverete anche i barbagli screziati del piumaggio di quel fagiano, nato da poco nell’orzo ai piedi delle colline pisane, in quei campi sferzati dal vento di mare e accesi dal sole prossimo al solstizio d’estate, laggiù, un paio di chilometri a nord dalla Torre millenaria. Riuscirete a coglierne i riflessi?

Birragricola J63

Author: Gabriele Panigada

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