La beviamo in mille varietà, a bassa o alta fermentazione, con l’aroma di luppoli provenienti da ogni angolo del mondo, fresca freschissima e se proprio non possiamo fare diversamente anche tiepida, la amiamo per il gusto e la spensieratezza che ci regala, ci accompagna da millenni ed è la compagna ideale per i più vari momenti della nostra vita… ma ci siamo mai chiesti il perché del suo nome?
Il pensiero mi balena in testa mentre osservo il colore intenso di una pinta di IPA appena spillata, con il suo mare di schiuma vergine a placarne le profondità ancora in tempesta. Ripeto tra me e me il suono di quella parola, come un Homer Simpson dei paesi nostri: “Birra… birra… birra…”
Vi è mai successo di ripetere mentalmente una parola così tante volte finché non diventa semplicemente un suono? Ecco, a me è accaduto anche con la birra, e ora non posso fare a meno di chiedermi chi diamine abbia inventato quell’insieme di suoni e perché.
Sul chi abbia coniato la parola, ahimè, c’è poco da fare. Possiamo solo immaginare che quei suoni siano nati insieme all’oggetto che rappresentano, migliaia di anni fa nel cuore di qualche popolazione proto-germanica. Sul perché invece possiamo avanzare qualche ipotesi.
Tanto per cominciare chiediamo aiuto a un vocabolario etimologico, uno di quelli che ci racconta la storia delle nostre parole. Sfogliamo l’intramontabile DELI, il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana edito da Zanichelli, che ci spiega che la birra, ovvero quella “bevanda ottenuta per fermentazione di malto, orzo o altri cereali, mescolata al luppolo e contenente anidride carbonica”, deriva dal tedesco Bier, termine che ha soppiantato il precedente italiano cervogia, parola in uso nel Trecento e che deriva da un termine latino a sua volta derivato dall’antico gallico.
Eccoci a un vicolo cieco: l’italiano birra deriva dal tedesco Bier – abbastanza ovvio, viene da dire – ma non sappiamo ancora il perché, non conosciamo il motivo per il quale questi suoni germanici indicano il liquido che tanto amiamo.
A questo punto non resta che tentare un’ipotesi, provare a dare una spiegazione tutta nostra. E per far questo ci soccorrono antiche reminiscenze linguistiche (chi l’avrebbe mai detto che una laurea potesse servire anche a questo). Chiediamo aiuto alla toponomastica, la scienza che studia i nomi di luogo. Perché mai scomodare i toponimi, vi chiederete. Perché sono le parole più vicine alla realtà, quelle che hanno conservato il più stretto legame con le cose che devono descrivere.
Andiamo a cercare parole italiane, ma di origine germanica, che ci svelano radici forse condivise anche dalla nostra birra. Prendiamo nomi di località come Bormida, Bormio e simili, luoghi che hanno in comune una caratteristica: le acque termali, acque calde che ribollono, proprio come fa la birra in fermentazione e in cottura. Per questi nomi c’è chi ha proposto un’origine dall’antichissima radice indoeuropea, cioè appartenente alla “lingua preistorica” alla base della maggior parte delle lingue europee e non solo, bher-/bhor- che significherebbe “gorgogliare, ribollire” e che ragionevolmente potrebbe riprodurre per “similitudine sonora” (in gergo, per onomatopea) proprio il rumore di un liquido che ribolle.
Dunque, secondo questa nostra ipotesi l’italiano birra, derivato dal tedesco Bier, condividerebbe l’origine con nomi di luogo come Bormio e significherebbe “liquido che gorgoglia, che ribolle”: sembra un’idea plausibile. La birra è tale proprio perché originata da un processo di fermentazione e di cottura, che è tutto un gorgogliare e un ribollire.
Finalmente soddisfatto posso tornare alla mia IPA, ovviamente agricola artigianale J63. Prima di gustarmela, mi lascio rapire dal suo profumo e sorrido pensando che adesso conosco un po’ meglio questo liquido misterioso. Ora che ho forse carpito il segreto del suo nome posso considerarlo un po’ più mio.
Nel nome della birra… Prosit!