La svinatura del sangiovese

Lo avevamo intuito già dai primi giorni di questa vendemmia, che quella tra il vino e l’uomo è una lotta tra amici che si combattono senza tregua. Lo scriveva Baudelaire, e non possiamo fare a meno di pensarlo quando ci affacciamo dall’alto all’interno del grande tino in cemento vetrificato. Racchiuso nell’enorme contenitore, Andrea spala senza sosta le vinacce di sangiovese verso il foro di uscita, immerso in un’aria pesante che già sa di calda ebbrezza. Fuori, Roshan e Paola tirano a sé i residui della vinaccia che, convogliati dalla diraspatrice, si avviano verso la pressatrice dove daranno ancora vino, quello che in gergo si dice “torchiato”.

Andrea con rastrello

E’ un’immagine archetipica quella ci si para di fronte agli occhi. Nel ventre del grande tino Andrea raschia instancabile ogni traccia di acino, si muove seguendo il perimetro delle pareti come un pesce in una bolla di vetro, con movimenti regolari e decisi; calata dall’alto, la lanterna ne illumina a malapena il volto e l’aura rossastra che il sangiovese spande sulle pareti del contenitore conferisce un che di magico e misterioso alla scena.

Andrea nel tino

E’ il momento della svinatura, ovvero è finalmente arrivato il tempo per estrarre il vino dal mosto dopo la fermentazione delle settimane scorse. Si effettua – ovviamente – solo nelle fermentazioni che prevedono la macerazione, cioè nella vinificazione dei rossi e dei rosati. Di fatto è un travaso, il primo travaso che subirà il nuovo vino: il cosiddetto “vino fiore” viene aspirato da una pompa enologica e trasferito in un altro contenitore. Sul fondo del tino rimangono le vinacce, cioè i residui solidi della fermentazione costituiti per lo più da ciò che resta degli acini. C’è ancora molto da fare prima dell’imbottigliamento, il vino fiore dovrà maturare e affinarsi, e andare incontro a controlli, analisi e filtrazioni.

Vinacce

Ma nel grande contenitore in cemento c’è ancora vino. Non lo si vede ancora, Andrea lo spala con vigore dritto nella diraspatrice e da lì una pompa lo convoglia nella pressatrice. Le vinacce si preparano ad essere pigiate, o meglio torchiate, per dare appunto il vino torchiato. E’ un vino con caratteristiche diverse rispetto a quelle del fiore, un po’ come avviane per l’olio extravergine di oliva e il cosiddetto “olio di sanza o d’inferno” ottenuto dalla spremitura della massa triturata delle olive. Ognuno di questi vini prenderà strade proprie in cantina; saranno destinati a vite assai diverse.

L’ultimo colpo di pala risuona metallico nel vuoto del tino. Andrea riemerge in superficie e Roshan spenge la pompa. Del sangiovese resta solo un’ombra sulle chiare pareti vetrificate, l’anima rosso porpora che lo fa somigliare a sangue ancora vivo. Chi lo definì “sangue di Giove” sapeva il fatto suo e non avrebbe potuto chiamarlo altrimenti. Non c’è niente di più umorale e divino allo stesso tempo, ed è forse questo che lo rende l’amico più passionale dell’uomo e col quale è in lotta continua: perché ci ricorda la nostra contraddittoria natura, in ogni attimo con i piedi all’inferno e la testa in paradiso.

Nel tino

Author: Gabriele Panigada

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