Ce lo hanno detto spesso i nostri nonni e ancora oggi, soprattutto nelle regioni del Nord Italia, è forte la tradizione che lega l’11 novembre al vino. Dopo la vendemmia dei mesi scorsi è infatti il momento di aprire le botti per la prima volta e di assaggiare il vino novello, tradizionalmente accompagnato alle castagne: proprio così, a San Martino ogni mosto diventa vino, il duro lavoro della stagione appena conclusa arriva finalmente a dare i suoi primi frutti. Quale migliore occasione per far festa?
Fin dalle scuole elementari abbiamo capito, recitando a memoria Carducci, il forte legame ce c’è tra il vino e questi giorni di mezzo autunno quando “l’aspro odor dei tini” va “per le vie del borgo” “l’anime a rallegrar” e, felici della sua tiepida “estate”, lo abbiamo aspettato come un vero momento di festa. Per conoscere le origini di tutto questo dobbiamo però sapere che cosa rende questo Santo così speciale.
Chi era San Martino?
Martino di Tours fu un vescovo cristiano del IV secolo, vissuto tra il 316 e il 397 d.C. circa. Originario dell’Ungheria, trascorse la maggior parte della sua vita in Gallia come soldato della guardia imperiale, prima di convertirsi ed essere proclamato vescovo a furor di popolo. Non stupisce che il suo nome, Martino, significhi proprio “dedicato a Marte” cioè al dio romano della guerra. Celebre l’episodio del mantello, che ne determinò prima la conversione e poi la santificazione.
Una gelida notte dell’inverno del 355, mentre vagava di ronda durante uno dei suoi tanti servizi da soldato, si imbatté in un mendicante seminudo e sofferente. Martino, a vederlo così infreddolito, non esitò ad afferrare la clamide, il proprio mantello da guardia imperiale, e a dividerla a metà con la spada per dare un po’ di sollievo al poveruomo. La notte successiva Gesù gli apparve in sogno lodandone il gesto e, al risveglio, il soldato si accorse che il mantello era miracolosamente tornato intero. In questa posa, mentre se ne sta a cavallo nel gesto di recidere l’ampia clamide con la spada e porgerne una metà al mendicante, è sempre ritratto ovunque se ne faccia il nome.
Ma l’episodio del mantello è solo “l’ultima veste” di una mitologia ben più antica. Dietro San Martino si cela infatti una divinità celtica, Lugos, legata alla guerra, al Sole e all’oltretomba. Questo ci spiega da subito la fortuna del Santo cristiano nelle regioni dell’Italia settentrionale e della Gallia, e la sua iconografia da soldato. Lugos era infatti ritratto in groppa al suo cavallo nero, con la spada sguainata e la corta mantella tipica dei cavalieri romani, di dimensioni ridotte per motivi di praticità – sarebbe infatti stato molto difficoltoso cavalcare e combattere agilmente con un lungo mantello. Il cristianesimo ha così dato la propria “interpretazione” alla corta mantella, aggiungendo il mendicante infreddolito coerentemente con il periodo dell’anno in cui si celebra il Santo, quando l’autunno si scrolla di dosso il ricordo dell’estate e vira decisamente verso i rigori invernali.
Che cos’è l’estate di San Martino?
Ma proprio come il suo mantello ha scaldato il mendicante, così questi giorni di metà autunno si fanno più caldi grazie alla cosiddetta estate di San Martino. Un’altra tradizione vuole infatti che Martino, dopo aver donato la prima metà del mantello in un freddo giorno di pioggia, si imbatté in un secondo mendicante a cui offrì ciò che restava del proprio indumento. Subito dopo il cielo si schiarì e la temperatura si fece più mite.
Questo fenomeno si ripete con discreta regolarità quasi ogni anno, e anche gli scorsi giorni ci hanno regalato un tempo soleggiato e caldo, quasi un ricordo d’estate.
Guerra, luce, regno dei morti e chiusura di un ciclo. Bene si intuisce come Lugos-Martino sia legato agli antichi significati sorti nei millenni attorno all’equinozio di autunno, gli stessi che hanno dato vita alla festa di Halloween-Ognissanti. A conferma di questo basti pensare che non è passato molto tempo da quando i contratti agricoli annuali si chiudevano e si rinnovavano l’11 novembre, momento in cui ci si apprestava a tirare le somme della stagione lavorativa e vegetativa appena conclusa. Da qui il detto “fare san Martino” per “traslocare”: a fine contratto i mezzadri dovevano infatti cambiare podere, raccogliendo tutte le proprie cose per trasferirsi in quello del nuovo padrone.
Il tempo umano e il tempo della natura si rinnovano così in questi giorni di inizio novembre. Siamo in una sorta di capodanno – non dimenticate Samhain, il capodanno celtico che oggi prende il nome di Halloween – e anche l’uva muore come tale nel mosto e nasce a nuova vita nel vino.
Buon San Martino a tutti, e che questa nuova annata vi sia propizia!