C’era una volta un re e una fattoria fortificata, più di mille e duecento anni fa.
Il re si chiamava Desiderio ed era un nobile longobardo di origine bresciana, ma che ben conosceva le nostre terre. Aveva infatti ricoperto a lungo la carica di Duca di Toscana o meglio di Tuscia, durante il regno del suo predecessore Astolfo.
Desiderio si era ritrovato tra le mani una bella gatta da pelare. Il Regno longobardo non passava un bel momento: l’Italia usciva da un lungo periodo di lotte coi bizantini; i rapporti con il Papa erano molto testi e ancora bruciava la sconfitta inferta dai Franchi, che avevano sostenuto Papa Stefano II nella lotta contro i Longobardi per il dominio dei territori dell’Esarcato, fino a poco prima in mano ai bizantini. Come se non bastasse, i ducati longobardi dell’Italia Meridionale scalciavano, dimostrando di voler distaccarsi dalla corona e fare di testa propria, e, in tutto questo, Re Astolfo era pure morto senza designare un successore, gettando il regno nel caos.
Ma Desiderio non si perse d’animo e seppe ricostruire, non senza fatica, una fitta trama di rapporti con tutte le forze in gioco, per ridare equilibrio alla Penisola. Cercò quindi di farsi alleati sia i Franchi sia il Papato, senza per questo abbassare la testa, cedendo sapientemente territori e figlie per ricevere in cambio concessioni e poteri.
Che c’entra tutto questo con una birra?, vi chiederete. C’entra, c’entra eccome.
Desiderio aveva una moglie che pare fosse, oltreché bella, particolarmente devota, al limite della santità. Cosa non da poco, se si mirava a ristabilire un buon rapporto con un vicino di casa un po’ “ingombrante” come il Papa. Ecco, proprio con questo scopo, aiutato dalle particolari doti di Ansa, la Regina, Desiderio avviò un’importante opera mirata a ridare importanza agli edifici sacri del regno, sistemandone di vecchi e costruendone di nuovi. Ansa fu particolarmente brava a rastrellare reliquie a più non posso in tutta Italia da destinare a una serie di fondazioni religiose, grazie al sostegno di Papa Paolo I. Devotissima, tra i tanti, alla martire Giulia, la Regina volle trasferire le sacre spoglie della giovane Santa da Livorno, dove si trovavano in quegli anni, alla sua città, Brescia.
Da Livorno a Brescia. Un viaggio non da poco per l’epoca; oggi ricalcato dal Cammino di Santa Giulia, un percorso di pellegrinaggio che si propone di ripercorrerne le tappe, in parte correndo parallelo a una delle tante direttrici della Via Francigena.
Tra le primissime soste che il convoglio reale con le preziose reliquie fu costretto a fare, a una distanza di circa venti miglia dalla partenza, possiamo immaginare che abbia svolto un ruolo importante una stazione di guardia e di controllo lungo il collegamento tra la capitale del Ducato di Tuscia, Lucca, e il il porto di Livorno. La strada da percorrere filava infatti dapprima dritta verso oriente, poi, all’altezza di Ponsacco, deviava verso nord lambendo il grande lago di Sesto-Bientina e, attraversando la piana lucchese, puntava verso i passi appenninici e si gettava infine nella Pianura Padana. Nei pressi di questa prima deviazione verso nord, possiamo immaginare una fattoria fortificata di ancor più antica memoria, adesso riadattata a presidio militare dai longobardi. Qui, il convoglio si sarà fermato giusto il tempo di una notte, per rifocillarsi e ripartire il mattino seguente di buon’ora.
Riuscite a immaginare di quale fattoria stiamo parlando?
Ce lo svela un’iscrizione sulla facciata della cappella di Sant’Andrea, oggi un tutt’uno con la Casa Turrita della Tenuta Torre a Cenaia, dove si trova il Birrificio Agricolo Artigianale J63. Correva l’anno 762 dopo Cristo, quando la Regina Ansa decise di volere per la sua fondazione le reliquie di Santa Giulia. Appena l’anno dopo, nel 763, queste iniziarono il lungo viaggio che dal Mar Tirreno le condusse a Brescia e si ritrovarono a passare anche da qui.
La vicenda che lega questa iscrizione alla Tenuta rimane tutt’oggi oscura e si tinge di leggenda. E’ ancora aperta una diatriba sulla paternità della lapide, tant’è che Livorno la rivendica a sé: nella sagrestia di Santa Giulia, una piccola chiesa nei pressi del duomo, una copia di questa iscrizione riporta una data diversa, e gli storici del passato hanno dibattuto a lungo sulla questione, senza mai venirne a capo.
Resta il fatto che l’originale di questa iscrizione si trova a Torre a Cenaia, in bella mostra sulla facciata di una piccola chiesa, e fa riferimento a Santa Giulia e all’anno in cui Re Desiderio la trasferì dalla Toscana a Brescia.
J come Julia
Nel luogo in cui si narra sia avvenuto il passaggio delle sue spoglie, un birrificio artigianale le rende omaggio riprendendone il nome e, oggi, reinterpretandone la storia.
J come Julia, 63 dall’anno 763 e non solo. I rimandi alla storia di questo territorio sono molti e vari, ma è a Santa Giulia che guardiamo e ai pellegrini che nei secoli ne hanno ripercorso i passi rifocillandosi con una buona pinta di birra. Sì, perché all’epoca era poco consigliabile affidarsi all’acqua, spesso infetta dai batteri, e allora l’unica bevanda sicura che corroborasse e rinfrescasse, senza eccedere con l’alcool come accade col vino, era proprio la birra. L’antico punto di sosta sul cammino di Santa Giulia, e verso la vicina Francigena, torna a essere luogo di sosta, oltre che di produzione di birra agricola, cioè prodotta con orzo coltivato all’interno della Tenuta stessa.
Giulia o meglio Julia era una giovane nobildonna dell’Africa mediterranea sulle soglie del IV secolo dopo Cristo. L’impero Romano iniziava a scricchiolare e le prime incursioni “barbare” sconquassavano i domini di confine. La sua città, Cartagine, stava subendo l’ennesima scorreria da parte dei Vandali quando Julia, appena ventenne, fu catturata e venduta come schiava. Da qui, le varie versioni della storia prendono il mare e ci narrano di viaggi al fianco di un ricco mercante, di naufragi e di tristi vicende sull’isola di Corsica. Il martirio la consacrò presto all’eternità, fermamente convinta nella sua fede cristiana, in un mondo che ancora non lasciava spazio al suo grande unico dio. La leggenda racconta di alcuni monaci della vicina Gorgona, che seppero in sogno di quanto stava accadendo e spiegarono subito le vele al vento per raggiungerla. Ma quando arrivarono, non poterono che avvistarla sulla sua croce, e raccoglierne il corpo per darle la giusta sepoltura sulla loro isola. Ai piedi dello strumento del martirio, un cartiglio scritto da mani angeliche narrava la sua vita; i monaci fecero tesoro di quelle parole e conservarono per sempre la storia di Julia. Pochi secoli dopo, su quell’isola farà approdo un’altra nave che condurrà Julia sul continente e, successivamente, il convoglio di Desiderio la scorterà fino a Brescia.
Con il progetto delle nuove Birre Agricole J63, nel formato da 33 cl, abbiamo voluto rendere omaggio alla storia di questa giovane donna coraggiosa. Abbiamo reinterpretato le principali vicende della sua vita, ma a modo nostro, sottolineando la sua bellezza e la sua tenacia, e lasciandole aperto un futuro diverso. Come potremmo non innamorarci di Julia, e immaginare insieme a lei nuovi viaggi per mare?
JIPA
Storia di Julia, episodio 1
Cartagine, 440 d.C. Julia ha appena vent’anni.
Figlia di un aristocratico della città, si gode gli agi del suo palazzo sul mare.
Dal colonnato, si affaccia sul giardino inebriata dal profumo di mille fiori e frutti esotici…
JPils
Storia di Julia, episodio 2
Cartagine è sotto assedio.
Julia viene catturata e venduta come schiava.
Pur spaventata e afflitta, non si perde d’animo: è una donna tenace e coraggiosa, e sa che non esistono catene in grado di fermarla…
JBlanche
Storia di Julia, episodio 3
Un ricco mercante siriano, di nome Eusebio, nota l’affascinante schiava al mercato di Cartagine e decide di acquistarla per condurla sulla propria nave.
Insieme, solcano i mari di tutto il mondo…
JBlonde
Storia di Julia, episodio 4
La nave approda sulla costa tirrenica. All’ombra di un’antica torre, Julia ed Eusebio si scambiano una promessa d’amore.
E’ tempo di salpare ancora, ma Julia lascia il suo cuore su questa terra, dove sogna di fare ritorno…
JRubra
Storia di Julia, episodio 5
La nave di Julia ed Eusebio naufraga sulle coste della Corsica.
Sulla spiaggia, sola di fronte al relitto, Julia si interroga sul futuro.
Del suo amore nessuna traccia, nell’aria l’aroma ammaliante dei pini marittimi…
Come inizia questa storia?
Dall’incontro “fortuito” con una giovane artista del nostro territorio, già caratterizzata da un personalissimo stile orientato al mare, al viaggio e al sogno. Julia sembrava fatta apposta per lei e allora, in un giorno di sole di fronte a una buona birra, abbiamo iniziato a scrivere insieme questa nuova storia.
Ginevra Giovannoni (Pisa, 1989) è RAME13, una giovane e brillante illustratrice, tatuatrice, street-artist… artista a tutto tondo. Seguendo i consigli del nonno pittore, inizia a disegnare fin da piccolissima. Dopo il Liceo Scientifico con indirizzo artistico a Livorno, frequenta la Scuola Internazionale di Comics a Firenze e si laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Pisa. Espone per la prima volta a Siviglia, grazie a un progetto Erasmus, città che rappresenta la sua prima grande fonte di ispirazione. Rientrata in Italia, si dedica a tempo pieno alla sua arte, collaborando a riviste e magazine, partecipando a mostre, workshop, festival ed eventi in tutto lo stivale. Dal 2016 entra a far parte della Progeas Family di Firenze, buttando anima e corpo nella street-art, in nome della quale dà vita a un importante progetto insieme ad altri artisti toscani. Creativa dalla mente vulcanica e, fin dagli esordi, caratterizzata da uno stile originale e riconoscibile, oltrepassa presto i confini nazionali: dopo il Festival Internazionale delle Culture di Ordea (Romania) nel 2016, Bristol la incorona quale street-artist di successo all’Up-Fest 2017.