E’ penetrante il profumo che aleggia nella piazzetta dell’antico borgo di Cenaja Vecchia. Dalle porte aperte della cantina il vento lo porta fino agli uffici, alle sale dei ristoranti, fino al parcheggio e talvolta anche oltre. C’è aria di vendemmia, e non si può fare a meno di pensare a Carducci e al suo “aspro odor dei vini” che per le vie del borgo va “l’anime a rallegrar”.
Ma non siamo ancora a San Martino e l’odore che ci godiamo adesso è dolce e piacevole, senza alcuna traccia delle note aspre e tanniche del primo vino. E’ il profumo del mosto e delle uve appena pigiate che continuano ad arrivare senza sosta alla diraspatrice.
Mi affaccio in cantina proprio mentre le mani Roshan afferrano la grande chiave inglese per aprire il tino in cemento vetrificato da venti ettolitri.
Lì lo Chardonnay ha trascorso pochi giorni dalla pigiatura ed è pronto per essere travasato. Le scorse ore sono state cruciali: i lieviti hanno fatto il proprio lavoro e il denso liquido è stato fatto decantare per separarne le fecce, che sono precipitate sul fondo del tino per effetto della forza di gravità. Questa operazione è detta appunto prima sfecciatura, ci spiega l’enologo, ovvero il momento in cui si purifica il mosto dalle fecce. Queste sono l’insieme di scarti derivanti dalle prime fasi di trasformazione del pestato di uva in vino: ne fanno parte residui come resti di raspi e di bucce, impurità della campagna, lieviti che ormai hanno compiuto le trasformazioni chimiche degli zuccheri e il loro ambiente di coltura, oltre a sostanze precipitate di vario tipo che non essendo un chimico faccio fatica a comprendere.
Il liquido che fuoriesce dal grande contenitore in cemento è torbido e denso, da lontano potrei scambiarlo per una birra chiara cruda appenda spillata. Ma il colore è biondo intenso e già si intuisce la brillantezza futura di questo promettente Chardonnay. Roshan mi spiega che le fecce più fini verranno tolte in seguito, attraverso l’utilizzo di appositi filtri. Adesso è il momento di lasciar riposare il vino in un altro tino, e con il lungo tubo rosso lo risucchia senza esitazione fino all’ultima goccia. Ogni cosa a suo tempo.
Lascio allora Roshan al suo lavoro, mentre si prende dura di queste promesse di vino. Fuori, di fronte alla diraspatrice, Andrea afferra nuove cassette di acini e le rovescia prontamente nella tramoggia. Nugoli di api, attratte dal profumo dolciastro delle uve appena raccolte, lo seguono nei suoi movimenti ma lui sembra non farci più caso. Lo saluto e penso all’antichità di quei gesti che si ripetono più o meno invariati da millenni; le api lo sanno, e non fanno differenza di fronte alle braccia di un uomo o agli ingranaggi di una pigiatrice. E’ la magia della vendemmia, di quell’inno alla vita che si rinnova alla fine di ogni estate e a cui tutti, uomini e api compresi, prendiamo parte.