Chi ha paura del buio?
Il buio fa paura. Non siamo esseri predisposti ad affrontarlo. Abbiamo sensori inadeguati, sensi che non riusciamo più a interpretare. Avanziamo tentoni a occhi spalancati, ci siamo dimenticati di essere animali ed è qui che ne paghiamo lo scotto peggiore. Sentiamo quanto basta per arrabattarci col sole, già una nuvola troppo scura può sviarci dal cammino. Ma dobbiamo farci i conti, col buio, ogni notte, ogni inverno, ogni volta che cala la luce su un sentiero che vorremmo sempre esposto alla canicola.
Abbiamo bisogno di riempirlo di presenze e di significati, questo buio così terribile. Dobbiamo gettarvi un lumicino, qualcuno lo ha già detto tanto tempo fa molto meglio di me. E, sopra ogni cosa, vogliamo assicurarci che sia reversibile, che dopo di lui – non importa dopo quanto tempo – ritorni la luce. Persino il buio più duraturo, quello dal quale nessuno è mai riapparso per descriverne il termine, ce lo dipingiamo finito, recintato da un’eternità di luce: non è una fola da bambini, un mito per fedeli ostinati di vecchi credi, è la risposta alla paura più nobile che abbiamo. Non tolleriamo il buio infinito e, anche laddove potrebbe esserlo davvero, costruiamo ponti di parole e immagini capaci di confinarlo, di traghettarci in un altrove di certo luminoso.
A Natale siamo più forti del buio
È per questo che nei giorni sospesi tra autunno e inverno, quando il freddo inizia a farsi sentire e il sole è una presenza discreta e scostante, dobbiamo scongiurare la fine della luce e della vita. Tutte quelle luci per strada, sugli alberi, nei negozi sono il retaggio di millenni di paure, non il contorno consumistico di una festività religiosa. La religione, l’ultima nostra religione, non ha mai avuto la forza per scalzare una così atavica angoscia, e si è dovuta adattare a questa, ricalcarne i riti e le figure. Ha potuto soltanto cambiare i nomi alle cose, e nemmeno ci è riuscita del tutto.
Il Natale, giorno della nascita di Gesù, ripercorre il dies natalis di una precedente divinità, il Sol Invictus. Prima di lui sarà stata senza dubbio la volta di altri numi, con nomi e volti diversi, ma tutte divinità di luce, le uniche capaci di sconfiggere il buio. Dies natalis Solis Invicti. Il giorno della nascita del Sole Invincibile.
Perché il “Sole Invincibile”?
Perché nel giorno del solstizio d’inverno le ore di luce raggiungono la durata minima e, dal giorno successivo, tornano finalmente a crescere. E’ il momento zero dell’anno, il vero capodanno: oggi nasce il Sole che vince sulle tenebre, ovvero da oggi il Sole e la sua luce riconquistano il ciclo del Tempo. Da oggi – un poco di più ogni giorno fino al solstizio d’estate, quando il ciclo si inverte – il giorno torna a “combattere” vittorioso sulla notte. Quando, esattamente, il Sole “vince” davvero sul buio? La data esatta è rappresentata dall’equinozio di primavera, quando notte e giorno si equivalgono; da lì in poi fino al solstizio d’estate, la durata delle ore di luce supera quella delle ore di buio, e il Sole può davvero vantarsi del titolo di Invictus. Non è un caso, infatti, che intorno all’equinozio di primavera il Cristianesimo celebri la Pasqua, ovvero il momento in cui il Salvatore risorge nella vera luce.
In questa invincibilità sta tutta la potenza millenaria della festa: il nostro Natale ha un dna a prova di mutazioni, fa leva sulla più grande paura dell’uomo e ne palesa la soluzione. Quale? La ciclicità del tempo: la certezza che dopo la notte tornerà il giorno, sempre. Questo è il messaggio dell’antica festa pagana e del nostro Natale, queste sono le parole del Salvatore cristiano: state tranquilli, chi segue me segue la luce e ne avrà per l’eternità.
Il nostro viaggio nel cielo, ciclo all’interno di più ampi cicli, è la causa di tutto questo. Il Natale non fa che tramandarci i festeggiamenti per il solstizio d’inverno: momento in cui ha inizio la rivincita del Sole sulle tenebre. Ma i più svegli potrebbero ribattere la non coincidenza delle date. Tra il Natale e il solstizio – che oggi, mentre scrivo, cade il 21 dicembre alle 17:28 – corrono circa tre giorni. Perché?
Colpa della precessione degli equinozi. Ma cos’è?
Il solstizio, che rappresenta il momento in cui il Sole, nel suo cammino apparente, raggiunge la minima declinazione ovvero l’altezza più bassa in cielo, è una ricorrenza mobile, che si sposta nel tempo. Non c’è niente di strano in questo: la Terra, che ruota su se stessa come una trottola, lo fa in realtà come una trottola stanca. Ruota non perfettamente in asse ma un po’ barcollando. La misura di questo suo barcollare determina lo spostarsi dei solstizi e degli equinozi, fenomeno che è appunto chiamato precessione degli equinozi: ogni anno equinozi e solstizi si anticipano di pochissimo rispetto all’anno precedente, per compiere un ciclo completo occorrono 25.785 anni. Lo spostamento ai nostri occhi è impercettibile.
Ma in duemila anni, periodo che ci separa dalle origini del Cristianesimo cioè da quando il Dies natalis Solis Invicti è stato a soppiantato dal Natale, questa differenza inizia a farsi sentire: appunto, a oggi, ammonta a circa 3 giorni. Ecco perché il Natale, fissatosi nei giorni del solstizio d’inverno di duemila anni fa, non coincide più con esso.
Pensare tutto questo può forse smorzare la magia delle feste, ma ci riconsegna alla nostra umanità, all’accogliente certezza di essere sempre uguali a noi stessi nonostante i millenni.
Vinceremo la notte ancora una volta. Il tempo è un unico eterno istante che barcolla su se stesso, la trottola delle stagioni ci riporterà presto alla luce. Concentrati come siamo a procedere in linea retta verso ipotetici obiettivi, ci siamo dimenticati che tutto è un ciclo, un ininterrotto oscillare di cose tra la possibilità e la realtà.