L’impressione che si ha entrando a Vinitaly per la prima volta, non importa da quale accesso lo si faccia, è proprio questa: sono una microscopica formica in un enorme e brulicante formicaio. Non tanto per le sconfinate dimensioni del complesso architettonico di Veronafiere e per la straripante umanità che in quel momento lo frequenta, quanto per la posizione – il posizionamento, direbbero i tecnici – che si occupa nell’infinito firmamento del mondo vinicolo. Firmamento infinito nel tempo e nello spazio.
Si può essere vetusti e blasonati quanto vogliamo, si può possedere migliaia di ettari a vigneto su suoli da sogno o esporre bottiglie in cui persino la colla che sorregge la retro etichetta ha un pedigree impeccabile, eppure, di fronte al vino e alla sua storia, siamo il fanalino di coda di una fila infinita di microscopiche formiche.
Se non vi pare, pensate al primo Homo sapiens sapiens che ha compiuto il miracolo – altro che nozze di Cana! – trasformando un così minuto frutto in nettare inebriante. Al suo cospetto che cosa sono i grandi nomi del vino di oggi? Che cos’è di fronte a lui un Banfi o un Ornellaia?
Ecco, moltiplicate per l’intera umanità questa equazione, e capirete quello che vogliamo dire. Perché il vino e l’umana historia sono lo stesso impervio ma epico sentiero, ci dispiace per gli astemi.
La visita a Vinitaly è una navigazione a vista nel fitto e multiforme arcipelago del vino nostrano. Nel passare da un padiglione all’altro, viaggiando di regione in regione, ci si rende conto prima di tutto di che cosa significhi essere italiani, della fortuna di far parte di un territorio così benevolo e generoso. Se poi si è così sfacciatamente fortunati da essere nati nella terra di Dante, di fronte alla mappa dei padiglioni il proprio orgoglio subisce un’ulteriore spinta in avanti: la Toscana è infatti la regione che occupa l’area più grande dell’esposizione. Il motivo è da ricercarsi, ovviamente, nell’eccezionalità dei terroir, nel clima e nella posizione di questa splendida regione a cavallo tra nord e sud. Tralasciando inutili campanilismi, quello che vogliamo sottolineare è che, a essere italiani e nella fattispecie toscani, l’impressione della propria piccolezza non può che aumentare esponenzialmente.
In questo mare nostrum a varie gradazioni alcoliche non mancano certo i giganti, che si stagliano fieri sui marosi come fari dai quali tutti sono costretti a misurare le distanze. La loro storia incute rispetto, i fatturati ammirazione e, ammettiamolo, anche invidia, perché certe altezze possono dare vertigini. Capita di imbattersi in grandiosi stand a due piani, degni di set cinematografici dei colossal anni Cinquanta. Ai livelli alti si degusta vino esattamente come accade a terra, in mezzo alle piccole formiche, ma là si rasenta il soffitto e chissà che la brezza che spira appena al di sotto delle coperture dei padiglioni non aggiunga un gradevolissimo nonsoché all’esame olfattivo.
Stazionando di fronte a questi imponenti edifici in cartongesso, sopratutto se merlati e turriti, capita di udire nel traffico di visitatori ed espositori commenti talvolta poco lusinghieri e perfino snob. Snob in senso etimologico, ovvero di chi si avverte sine nobilitate rispetto a questi giganti e per autodifesa denigra chi si staglia a sì gloriose altezze. Che sia solo invidia?, viene da domandarsi. All’inizio potremmo pensare che sia semplicemente così, ma esaminando più da vicino il brulicante sottobosco delle formiche si intuisce che c’è ben altro.
Il fatto è che la nobilitas del vino si misura diversamente. Con la terra, con il suolo sul quale si ha la fortuna o la sfortuna di lavorare, e ostentare certe altezze può dare l’impressione di essersi dimenticati di questa grande verità. Le formiche lo sanno bene, e la loro terra la portano in fiera, mostrandola con orgoglio durante le degustazioni, racchiusa nelle cassette di legno per le bottiglie, o esposta in piatti e vassoi come fosse la pietanza più prestigiosa. Ed è così, è il loro tesoro più prezioso.
C’è chi vi mostrerà suoli più o meno sabbiosi, chi pugni di ciottoli in cui spiccano conchiglie fossili, chi addirittura racconta delle proprie vigne che allignano in sedimenti di antichissime foreste di pietra. Il valore di siffatti tesori sembra misurarsi sulla capacità drenante, di ossigenare le radici, e chi possiede minime basi di botanica ne intuisce facilmente il perché. Ma il sangue di Giove?, verrebbe da chiedersi. Avete mai provato a farlo attecchire su simili suoli? Beh, per lui dovremmo mostrare fieri la povera argilla, ma questa è tutta un’altra storia.
Grazie a queste piccole formiche Vinitaly è soprattutto un viaggio tra le terre d’Italia. Non abbiate timore di farvele mostrare, di sfarinarle tra i vostri polpastrelli e di annusarle. Il nettare di cui parliamo è degli dei, ma la sua anima è estremamente terrena.
Per chi si occupa di vinificazione è la cosa più ovvia del mondo, eppure vagando per Veronafiere si ha l’impressione che se ne stia perdendo la coscienza. La riprova è sulla facciata di uno dei padiglioni dell’esposizione. Chi ha allestito il numero 11, l’area dedicata alla Puglia, ha avvertito la necessità di sottolinearlo, quasi fosse un brand, un merito esclusivo di quella regione: “Puglia, dove la terra diventa vino”. Ma ovunque vi sia vino è perché la terra ha deciso di diventarlo, e l’uomo ha imparato ad assecondarla; non soltanto in Puglia. Giganti o formiche, si è tutti vinificatori devoti alla terra, al suolo e alla sua composizione.
In ogni angolo d’Italia c’è una terra che diventa vino, questo è il messaggio di Vinitaly, e ognuna è inimitabile e unica: da quarantanove anni, la fiera del vino e dei distillati di Verona ci mette davanti allo specchio per mostrarci questa nostra sconfinata e variegata bellezza. Non possiamo, non dobbiamo dimenticarlo. Ne va del nostro valore e della qualità dei nostri prodotti – ne va del nostro futuro. Potrebbe sembrare scontato ma non lo è affatto. Circa duemilacinquecento anni fa lo evidenziava Senofane, è passato un po’ di tempo da allora ma non ci sentiamo di credere in altra verità che questa: dalla terra tutto deriva. Giganti compresi.